Già' alcuni anni fa, scrivendo a proposito dell'arte di Mariateresa, avevo avuto occasione di osservare come la sua sia una musa essenzialmente domestica - parola, questa, che non va certamente presa in una accezione limitativa.
Le cose, gli oggetti sono i protagonisti silenziosi del suo universo pittorico rimandando sempre a quel ricettacolo comune che è la casa , l'abitazione dell'uomo. Questa, che si tratti di interni o di esterni, è infatti spesso la protagonista delle sue tele e ci invita a meditare sui piccoli misteri dello spazio umano. Qui viene continuamente ribadita la solida e concreta legge delle verticali e delle orizzontali sia che si tratti di pilastri e tralicci oppure di infissi ed ante di finestra o, ancora, del ritmo cromatico delle mattonelle di pavimentazione.
E', la sua, una legge di economia, di povertà e umiltà, che trova conferma anche negli altri soggetti che qui vengono presentati.
Se le cose assumono la dignità di vere e proprie persone (il richiamo a Morandi è qui quasi scontato), a loro volta le figure umane di Mariateresa sono talmente assorte che la loro immobilità ricorda quella di un oggetto. Ogni gesto o movimento è da esse bandito, quasi a non voler sottolineare altro che la loro semplice posa, il loro ergersi e il loro fissare lo sguardo davanti o dentro di sé, estatiche, cioè, ad un tempo totalmente dentro e totalmente fuori di se stesse.
1993
Quella di Mariateresa Carbonato, come ho avuto modo già di osservare, è una pittura basata sul colore e sul tono, e più precisamente su quel tipo di calore trattenuto che è proprio della tempera. E' un'arte che sceglie consapevolmente un tono minore, quasi dimesso, sia nei soggetti - interni domestici con nature morte - sia nella economia dei mezzi espressivi. Ma qui risiede appunto il fascino delle sue opere, in questo suo saper far tesoro di mezzi e occasioni limitati, in questo trarre oro dalla materia umile della vita quotidiana.
Tuttavia, nella pittura degli ultimi anni, si è affacciato e poi affermato con prepotenza un motivo nuovo. Quello dei fiori. Un motivo, peraltro, qui sempre raffigurato nel contesto del mondo abitato dall'uomo: sono fiori colti e collocati in vaso, oppure adagiati su tavolo, parzialmente avvolti in drappeggi, oppure sono piante fiorite che traspaiono attraverso gli infissi di una finestra, o al di là di un davanzale. Sono, comunque, apparizioni, avvenimenti senza moto apparente che non sia quell'irradiarsi sommesso ma inesorabile del colore e della luce. E da questa piccola epifania naturale il mondo dell'uomo è quasi contagiato: anche la superficie di una brocca, le pieghe di un panneggio, l'intreccio di un cesto, in una certa maniera fioriscono.
1997
Purificare lo sguardo - 15 Novembre 2003
Sulle opere recenti di Mariateresa Carbonato con il passare del tempo, sembra che la sua ricerca artistica faccia una sorta di percorso di risalita verso la fonte, cioè verso le ragioni e il metodo del proprio operare.
Mi riferisco a una circostanza ben precisa: sempre più di frequente, almeno nei tempi più recenti, capita che l'invenzione (nel senso etimologico del trovare) del soggetto dei suoi dipinti scaturisca da scatti fotografici (quasi sempre di rara bellezza). Questo intervento della macchina fotografica mi sembra sintomatico. Esso forse corrisponde all'economia profonda attraverso la quale Mariateresa elabora l'immagine pittorica. L'arte del fotografo è soprattutto un'arte di inquadratura (della messa in quadro), di selezione nel continuum della realtà, di un frammento ritagliato, isolato, fissato da un obiettivo.
Ora, proprio questo ritaglio è presente in quasi tutte le sue opere pittoriche (e certamente delle migliori). Moltissime mettono addirittura a tema questo ritaglio: stipiti di porte, voltoni e sottoportici, finestre e specchi e via dicendo. A volte questi si moltiplicano a cascata, come in certi interni dove una porta ci introduce in un corridoio, in fondo al quale si apre un'altra porta o una finestra si affaccia sull'esterno.
Non e' possibile, data la ricorrenza così insistita di questo motivo, non pensare al suo valore metaforico: ciò che conta è questo enigmatico, sempre imprevedibile, ma a suo modo rassicurante e confortante punto di incontro tra interno ed esterno, tra soggetto e oggetto, tra il pittore e la realtà. I migliori paesaggi di Mariateresa sono quelli che si aprono nel vano di una finestra, nel ritaglio di un'imposta, nel riquadro di una griglia. Il riquadro, il ritaglio, la cornice, riproducono all'interno del quadro la sua stessa natura di superficie delimitata che, nel continuum dello spazio reale, apre un varco, cattura lo sguardo e lo orienta.
Un secondo aspetto da sottolineare è il fatto che i suoi dipinti riguardano quasi esclusivamente degli spazi umani, anche se per lo più l'uomo è assente. La figura umana compare molto raramente. Sono spazi umani, perchè sono spazi abitati e abitabili: stanze, vani, scale, nel loro specifico ruolo di ambienti protetti, riparati, ma nello stesso tempo aperti, relazionati ad un altro, a un fuori, a un oltre. Oppure - è il caso delle recenti opere dedicate allarchitettura rustica del Trentino - si tratta di quegli esterni che si configurano comunque come spazi protetti: voltoni, viottoli che danno forma al cielo, alla campagna circostante isolandone dei frammenti rendendoli parte della spazio domestico.
In questo contesto, assumono un particolare valore simbolico i recenti dipinti sul tema del Costruire-ricostruire (in realtà un tema già visitato or sono molti anni e ora riemerso prepotentemente): è una discreta allusione all'operare umano - in particolare artistico - sempre chiamato a ricominciare, a un nuovo inizio. Ed è un monito anche alle ambizioni demiurgiche dell'uomo, per ricordarci che il nostro creare è sempre un ri-creare, il nostro costruire è sempre un ri-costruire.
E curioso che, là dove il tema della casa, della dimora umana, emerge in modo così esplicito esso sia anche in se stesso velato, nascosto, sotto lo schermo effimero di impalcature e tendaggi. Ma questo filtro funziona anche come una sorta di ascesi dell'occhio, come un filtro che purifica il nostro sguardo, lo trattiene appena un poco al di qua dell'oggetto lasciandolo solo intra-vedere. E mi sembra anche questa una buona metafora per suggerire l'effetto che i dipinti di Mariateresa sortiscono su di noi e sul nostro modo di guardare.
Maggio 2007
Mariateresa Carbonato, già allieva di De Rocchi a Brera, ha ereditato dalla tradizione chiarista lombarda una cordiale adesione alla realtà nella sua dimensione anche più dimessa e, nello stesso tempo, una acuta sensibilità ai valori pittorici, tonali soprattutto, capace di trasfigurare qualsiasi oggetto, trasformandolo in un evento della luce. Nella sua pittura ha spesso privilegiato le vedute urbane, gli interni domestici, le finestre, le facciate di case in costruzione o in restauro, gli androni, i porticati, le scale e i pianerottoli, insomma tutto quanto ci richiama l'abitare dell'uomo, lo spazio e la durata del vivere.
Negli ultimo tempi, in particolare, grazie anche all'ausilio della fotografia - una tecnica che pratica con una singolare maestria - è ritornata sui temi di sempre, con una ricerca che indaga sulla presenza degli oggetti attraverso "tagli" e inquadrature che sembrano voler fissare le apparizioni piu' istantanee e insolite con cui uno scorcio di citta' o di paese ci coglie di sorpresa, mentre l'evento della luce rimodella la realtà, talvolta quasi consumando le cose in una sorta di fredda incandescenza. Non a caso le sue vedute, soprattutto quelle architettoniche, sono sempre filtrate attraverso finestre, archi, ponteggi, quasi a sottolineare il loro darsi furtivo, casuale, non predeterminato. E quasi a voler tematizzare lo stesso evento dello "sguardo": sguardo sulle cose, ma anche sguardo che le cose ci ricambiano.
L'inverno sulla tela - novembre 2009
I dipinti di Mariateresa Carbonato approdano a Milano. Tra paesaggi imbiancati dalla neve e tonalità candide, parte un viaggio nel tempo all'insegna dell'arte.
Già la sua stessa natura di superficie delimitata che, nel continuum dello spazio reale, apre un varco, cattura lo sguardo e lo orienta.
Questo è anche ciò che conferisce alle sue vedute un carattere "domestico", intimamente umano, anche se, paradossalmente, la figura umana non è mai presente, semmai sostituita da semplici oggetti della vita quotidiana. Si tratta di una realtà, anche quella della natura, sempre abitabile o percorribile dall'uomo.
Nelle opere ultime, esposte allo Spazio Lumera di Milano (in via Abbondio Sangiorgio, a cento metri dall'arco della Pace), mi sembra che Mariateresa confemi queste osservazioni, ma introducendo importanti novità.
Diciamo anzitutto che questa mostra,facendo una silloge della produzione di questi ultimi due anni, sceglie coraggiosamente di presentare una serie monotematica, cioè una serie di dipinti tutti dedicati al tema della neve e dell'inverno. Un tema che costituisce una bella sfida per i pittori-pittori, cioè per i coloristi e i tonali come Mariateresa. E davvero il motivo è qui svolto in modo magistrale, mostrando come il bianco in realtà sia una sorta di trasfigurazione del colore, il contenitore potenziale di tutti i colori che in esso si riflettono. Si passa quindi dalle tonalità grigio-azzurro-verdi o argentee dell'inverno pieno a quelle rosate, con esplosioni di arancione e rosso, che annunciano l'imminente primavera. Un viaggio nel tempo, dunque, di una lunga stagione invernale che si incrocia anche, tematicamente, con un viaggio nello spazio. In talune opere, in effetti, le immagini ci si presentano come fossero colte non più nel vano di una finestra, ma dal finestrino dl un'automobile. E addirittura, in qualche dipinto, il ductus del pennello o della spatola sembra proprio ripetere il movimento del veicolo lungo le curve e i rettilinei di un'autostrada. Dove il grigio sordo dell'asfalto fa da contrasto al biancore della neve come pure alle tonalità del cielo, di un grigio così differente.
Davvero in questa produzione recente emerge la maturità di un'artista che, se dipinge la neve, è perchè la avverte immediatamente nei ternini della materia pittorica. Perche' dipinge la neve allo stesso modo in cui, in un certo senso, la neve stessa "dipinge" e anche ri-modella la terra e il paesaggio.
Queste sue opere mi richiamano alla mente quanto scriveva anni fa William Congdon, un pittore di magnifici "inverni", e cioè che la neve "è il dissanguinare (da parte) del cielo della sua luce... tutta la luce sta sulla terra coperta della luce del cielo, mentre il cielo, come luce, non c'è più".
Sguardi su un oltre - 3 maggio 2011
Con le opere qui esposte, Mariateresa Carbonato coglie i frutti di una intensa stagione produttiva che, se da un lato conferma i temi e il sentimento della vita che da sempre l'hanno ispirata, dall'altro introduce importanti novità, soprattutto sul piano della tecnica pittorica.
Formatasi alla scuola del Chiarismo lombardo (De Rocchi, di recente oggetto di una discreta rivisitazione, fu il suo maestro al Liceo Artistico di Brera), Mariateresa ne ha profondamente assimilato due aspetti fondamentali: il linguaggio tonale e la assoluta ferialità, quasi banalità dei soggetti. E i due aspetti, in un certo senso, sono strettamente collegati: Il tonalismo, la predominanza dei grigi, dei bianchi e dei beige, con poche accensioni di colori (quasi) primari, accentuano il ruolo della luce e impregnano gli oggetti di una qualità che non è solo cromatica ma anche affettiva. Il tonalismo è percio' come un filtro che conferisce agli oggetti, soprattutto quelli più quotidiani e umili, una densità temporale, fatta di durata e di memoria.
E' la grande scuola che da Vermeer arriva fino a Morandi. Nei lavori di questi ultimi due-tre anni, poi, si avverte anche la lezione di un altro grande maestro della pittura recente, William Congdon: l'uso dell'olio in impasti più densi, stesi direttamente con gli stick, il disegno inciso nella pasta del colore, la mescolanza della polvere d'oro nei pigmenti, che va a impregnare i colori, tendenzialmente spenti, di un fulgore discreto e nello stesso tempo glorioso. ...
I migliori paesaggi di Mariateresa sono quelli che si aprono nel vano di una finestra, nel ritaglio di un'imposta, nel riquadro di una griglia. Il riquadro, il ritaglio, la cornice, riproducono all'interno del quadro la sua stessa natura di superficie delimitata che, nel continuum dello spazio reale, apre un varco, cattura lo sguardo e lo orienta. In altri casi, invece, la finestra è tematizzata come tale, soprattutto le finestre chiuse o socchiuse, come a custodire un segreto che, per il fatto di esser tale, non cessa di ri-velarsi.
E' poi interessante osservare certe vedute di esterni, soprattutto quelli legati al paesaggio ligure: anche qui si aprono prospettive tra muretti che danno su portoni e cancelli, oppure sentieri che spariscono dietro una curva o un dosso lasciandoci indovinare l'aperto del cielo e del mare.
In ogni caso i dipinti di Mariateresa riguardano quasi esclusivamente degli spazi umani, anche se per lo più l'uomo è assente. Sono spazi umani perchè sono spazi abitati e abitabili e percorribili: stanze, vani, scale, nel loro specifico ruolo di ambienti protetti, riparati, ma nello stesso tempo aperti, relazionati ad un altro, a un fuori, a un oltre. Oppure, ed è il caso delle opere dedicate all'architettura rustica del Trentino, si tratta di quegli spazi esterni che si configurano comunque come spazi protetti: voltoni, viottoli che danno forma al cielo, alla campagna circostante isolandone dei frammenti, rendendoli parte dello spazio domestico.
In questa contesto, assumono un particolare valore simbolico i dipinti sul tema del "costruire/ ricostruire" (tema caratteristico dell'artista e recentemente riemerso): è una discreta allusione all'operare umano, in particolare artistico, sempre chiamato a ricominciare, a un nuovo inizio. Ed è un monito anche alle ambizioni demiurgiche dell'uomo, a ricordarci che il nostro creare è sempre un ri-creare, il nostro costruire sempre un ri-costruire. E, anche in questo caso, la struttura dei ponteggi, se da un lato nasconde, vela, dall'altro anche crea dei pertugi, delle "finestre", che sono altrettanti sguardi su un oltre che si propone e si sottrae allo stesso tempo, secondo una dinamica che impone all'occhio una sorta di ascesi, di purificazione.
Maggio 2012
Formatasi alla scuola del Chiarismo lombardo, Maria Teresa ne ha profondamente assimilato due aspetti fondamentali: il linguaggio tonale e la assoluta ferialità, quasi banalità dei soggetti. E i due aspetti, in un certo senso, sono strettamente collegati: il tonalismo, la predominanza dei grigi, dei bianchi e dei beige, con poche accensioni di colori (quasi) primari, accentuano il ruolo della luce e impregnano gli oggetti di una qualità che non è solo cromatica ma anche affettiva. Il tonalismo è perciò come un filtro che conferisce agli oggetti, soprattutto quelli più quotidiani e umili, una densità temporale, fatta di durata e di memoria. E’ la grande scuola che da Vermeer arriva fino a Morandi.
Queste ascendenze valgono anche sul piano dei soggetti, dei temi ricorrenti nella pittura di Maria Teresa: gli interni domestici, gli oggetti della realtà quotidiana; oppure le case in costruzione o in restauro, viste attraverso il filtro dei ponteggi (a ricordare che ciò che abitiamo e che ci è abituale è frutto non scontato di un continuo lavorio). La realtà della famiglia in lei non è quindi tematizzata in modo diretto ed esplicito – se non in rari casi, in cui coppie di sposi plasmate dal tempo sono viste da lontano o di spalle – ma sempre per questa via indiretta, metonimica: tazze, scodelle o un bicchiere su un davanzale, una lavatrice che fa capolino attraverso una porta; porte che aprono su fughe di stanze, sedie, tavoli, sacchi della spesa… - tutto, come si diceva, fa pensare a uno spazio abitato, abituale. Non nature morte, ma nature vive, vive della vita che qui trascorre. Gli oggetti dicono un fedeltà e nello stesso tempo un fidatezza, un confidenza. Poi, questi interni sono sempre aperti. Aperti ancora su altri interni, ma più spesso verso l’esterno, attraverso il vano di una finestra. O viceversa, dall’esterno, le imposte delle finestre si socchiudono per lasciare indovinare il segreto di un interno. Lo spazio domestico, infatti, non è uno spazio chiuso. E’ uno spazio intimo, non privato. E’ fatto per aprirsi e per accogliere – il mistero della luce, il mistero della vita.
Febbraio 2016
Quello che posso dire è che sono molto grato a Mariateresa per questa sua ultima produzione, di questa alternanza di soggetti, alternanza che abbiamo voluto sottolineare anche nella esposizione.
Attraverso le sue opere c'è come una grande storia della pittura, perchè si vedono tutti i grandi generi classici della pittura tradizionale: il paesaggio, la natura morta e anche la figura umana, soggetti che potrebbero sembrare ovvi , ma io dentro questi campi, queste risaie, piuttosto che nel grano, piuttosto che nella terra arata, trovo che c'è sempre come una magia che è data da due fattori, che sono :
primo, questo suo ordine, c'è un ordine, non uno schema, ma un ordine , un senso dell'ordine, che viene come da una sua felicità di sguardo. Io ho sempre notato come lei per esempio sia anche una bravissima fotografa e quindi ha sempre una felicità nei tagli, nel ritagliare il paesaggio, perchè essendo il paesaggio sostanzialmente un oggetto indeterminato, indefinito, che non ha limiti di per sè, per farlo entrare nella tela dipinta si deve fare una scelta ed è in questa scelta che si gioca (in un modo che magari noi non percepiamo non cogliamo immediatamente) tutto il contenuto del quadro; e nelle sue opere questo lo si vede molto bene.
Un altro fattore, che mi colpisce sempre, è che vi sono delle cose imprevedibili che accadono: per esempio questi alberi che si rispecchiano nelle risaie - le risaie si allagano normalmente in maggio giugno - però, se guardate il riflesso degli alberi, è un riflesso di gennaio, quindi mi ha colpito questa improvvisa sua stranezza, che in realtà sono poi delle visioni, perché si vede qualcosa che non è immediatamente l'oggetto visivo.
E poi come usa il colore. Questi sono i colori della natura, non hanno il nome del tubetto, non sono definibili, sono impasti di colore. Mi ricordo che Bill in proposito diceva: guai a usare il colore del tubetto, i colori si devono trasfigurare sulla tavolozza dell'artista e diventare qualcosa che non riesci neanche più a nominare. Ma perchè sono i colori della realtà, sono i colori del reale, a un punto tale che in certi casi, come potete vedere, sono oggetti reali. E questo è un aspetto della modernità. Si dice che nella modernità l'artista moderno usa di tutto, l'arte moderna ci ha abituati a questo, anzi a volte magari anche con scandalo del pubblico più o meno - poi sempre meno adesso -si usa di tutto, per cui questa reciprocità tra la realtà del colore e il colore della realtà.
Mi riferisco a certi quadri dove, invece del colore, Mariateresa ha usato proprio l'oggetto stesso, ha prelevato l'oggetto stesso, lo strofinaccio che diventa a sua volta colore, diventa parte del quadro, si integra per cosi' dire, è come una sorta di riabilitazione, perché anche dentro questa scelta, dentro questo modo di fare, c'è una volontà di riabilitare quel che c'è di più quotidiano. Che c'è di più banale, di più trascurabile, di uno strofinaccio? E questa è un'altra cosa che nella pittura di Mariateresa mi ha sempre colpito,
A volte anche i suoi soggetti sono feriali, domestici, quotidiani, ma in questa alternanza di generi abbiamo anche una rilettura della pittura del passato, mi sono permesso di citare Zurbaran, cioè la grande pittura spagnola del 600, per questi pani messi sulla tavola, - e qui il significato eucaristico è molto evidente, senza nessuna forzatura .
Altro elemento della magia delle sue opere è certamente la luce. Qui c'è tutta la sua tradizione da cui lei viene fuori, da De Rocchi, i Chiaristi lombardi, cioè la tradizione lombarda ingiustamente dimenticata, ingiustamente trascurata, per una sorta di provincialismo italiano che disprezza le proprie tradizioni - se pensiamo all'Ottocento italiano che ha avuto dei maestri grandissimi ma ahimè poco rappresentati nelle grandi mostre pubbliche.
Volevo concludere questa presentazione rileggendo questa frase di Bill Congdon che mi è venuta in mente - fra l'altro sta concludendosi la mostra a Casa Testori – che risale al 1980, quando aveva concluso la sua primissima stagione di pittura nella Bassa, essendosi trasferito qui nel 1979, in un luogo che inizialmente ha dichiarato, letteralmente, essere il "cesso del mondo"… be‘, al suo arrivo questa è stata la sua dichiarazione, com edire che lì era la sua morte".
Bene, avendo cominciato a dipingerlo, questo luogo, dopo meno di un anno arriva a scrivere queste parole, ed è direi il tema che troviamo anche in questa mostra:
«l'estasi del grano turco ore 14 fine giugno, verde scuro lavato d'argento" - chi ha mai visto l'argento nel granoturco? eppure Mariateresa usa l'oro, per esempio nelle zolle, nella terra arata, - "fiamme, lingue di fuoco verde e nero in luce e la gloria della pianta si comunica al suo frutto - interessante questo passaggio - ai cibi che ne derivano - la polenta, il pane giallo, eccetera, - notiamo questa capacità di immedesimarsi nel mondo degli agricoltori - "quanto è preziosa la terra, che ha dei campi la generazione della vita, i ritmi della vita e l'uomo che sa collaborare con la terra aiutandola a rendere la vita per le sue di lui, bestie, per lui stesso, mai conoscevo questo miracolo, tutto ingranato col tempo, il tempo e la terra e la pazienza e l'ingenuità dell'uomo " .
Grazie Mariateresa perchè ci restituisci questo significato, questo senso, nelle tue opere.