Sguardo quotidiano
L'attenzione è il solo cammino verso l'inesprimibile, la sola strada al mistero, essa è solidamente ancorata nel reale e soltanto per allusioni celate nel reale si manifesta il mistero....
Quest'osservazione della poetessa Cristina Campo sancisce la perenne valenza di un approccio realistico al problema dell'arte e dell'esperienza umana in generale. La realtà diviene la sola via al mistero, sia pur per allusioni. E questa è certamente la posizione personale di Mariateresa Carbonato, ma con una variante sostanziale: nella sua pittura serena però intensa, che ritrae le cose ordinarie, la strada dell'allusione diviene totale adesione al dato di realtà, o meglio alla realtà data, nella sua pienezza di evidenza fisica e di senso; adesione all'oggetto dello sguardo, uno sguardo quotidiano che interroga e direi accarezza le circostanze più prossime e familiari, cogliendone la luce e la trepida attesa.
Nell'arte il fenomeno dello sguardo accade in forma imperiosa, assoluta, poetante, come ci ricorda Camillo Sbarbaro:
''... Tutta la mia vita è nei miei occhi:
ogni cosa che passa la commuove!
come debole vento un'acqua morta''.
Non sono che uno specchio rassegnato.
Contrariamente a quanto ritiene una certa vulgata critica, non c'è malinconia semmai, appunto, supremo realismo in questa sbarbariana consapevolezza di essere specchio rassegnato, perchè egli sa che l'artista, cioè l'uomo, non può essere altro che sguardo, e che lo sguardo, in fondo, cattura ciò che il cuore reclama. Infatti, l'occhio è la finestra dell'anima, come sa un altro grande poeta, Rilke. Non è lo sguardo il retaggio delle cose, bensì il contrario, come spiega Merleau-Ponty ne ''L'occhio e lo spirito'': la realtà si afferma in quanto luogo del nostro vedere.
Della lezione metafisica, il lavoro di Mariateresa condivide la predilezione per le atmosfere silenti e spoglie di presenze umane, per gli oggetti in posa, per l'ambientazione d'interni, per il paesaggio, insomma per il repertorio proprio della tradizione da cavalletto della prima metà del Novecento. Eppure, quella trepida attesa che come dicevamo caratterizza i suoi dipinti non è mai passività, supina aspettazioine di un improbabile accanimento che, montalianamente o dechirichianamente, ci sveli il significato delle apparenze stesse; al contrario, quell'attesa è tensione, o piuttosto presa d'atto della bellezza delle cose, della loro certificabile aura di significato, del loro essere documenti del nostro destino.
Un'attesa, quindi, che non è immobilità, bensì per tornare alla Campo attenzione ai segni, anche minimi e dimessi, di un avvenimento che è già, e che accade incessantemente, quell'avvenimento che si si chiama vita, dono gratuito allo sguardo obbediente dell'artista.
Nella produzione della Carbonato non mancano la figura e il ritratto, che anzi tornano prepotentemente in alcuni quadri recentissimi.
L'ossequio all'elemento umano, col suo mobile appannaggio di sentimenti, affetti, memoria, non contraddice quella dimensione di attesa suggestivamente suggerita dalla domestica fissità di una sedia, di una porta o di una finestra, anzi conferma la poetica della Carbonato, che è di ascolto calmo e colmo, di incondizionata pertinenza al visibile nella totalità dei suoi fattori, di adesione umile alla realtà.
Umile: da humus, terra. E la terra invade la pittura della Carbonato, non solo tematicamente, nelle verdi vedute alpine o agresti contemplate en plein air, ma anche e soprattutto fisicamente, con l'opzione tecnica delle terre ventilate impastate nella tempera con colla e acqua nonchè del pastello a olio, l'unica sostanza in grado di passare direttamente, se piegata dal sentimento, dallo stato di terra, di humus, a quello di aria e di luce, come documentano i meravigliosi fogli di Degas, che seppe impregnare e intessere di luce le sue figure partendo proprio dalla terra, o dalle terre, del pastello.
Tale prodigio della transustanziazione dalla terra alla luce affascina indubbiamente la pittrice, che in questi dipinti opta quasi esclusivamente per l'impiego diretto del pastello a olio e della tempera, anche sul medio e ampio formato, quasi abolendo spatole e pennelli, e mirando ad una luminosità della materia-pittura, ad un gradiente tonale che si fa sempre più contiguo al grigio, sempre pù' raffinato, singolare, inconfondibile, pur nella chiaritàa' squisitamente lombarda.
In un parsimonioso variare cromatico di biacche, di gialli e di arancioni solari, di densi turchini, di rossi fondi e laccati, di rosa carnicini e soprattutto di grigi freddi e azzurrati, il gesto corposo della Carbonato costruisce dipinti dove cuore, occhio e mano paiono tutti messi sul medesimo asse per riconsegnarci ciò che conta, ovvero una realtà ordinaria che rinasce al nostro sguardo. La pittura della Carbonato mira infatti all'essenzialità e al nitore della visione, a un'immagine tutta interiore, di icastica semplicità, decantata da ogni zavorra anedottica, o letteraria, o di mestiere, o di stile.
Un'immagine che conclama però la sontuosità sensuale della pittura, la volontà di spendersi nel fare, di godere della bellezza, ma anche di lasciare una traccia perentoria di sé nel gesto pittorico e nel segno, rafforzando e arricchendo la morfologia del dipinto con matite o punte che incidono lo spessore grasso del pigmento.
Che raccontino il silenzio di un prato sotto la neve, o l'assorta delicatezza di un bouquet di fiori, o la meditativa compostezza di una natura morta drappeggiata di un panneggio che pare un sudario, o una fuga di scale e di stanze, o ancora la carnale sembianza di una persona amata, i dipinti della Carbonato ci restituiscono sempre ridestandola al nostro incontro una realtà resa più tersa e forte nella sua evidenza di dono; una realtà certo rivestita di quella nuova pelle della cose che è la pittura, ma dove pulsano comunque il nostro cuore, la nostra speranza, la nostra fragilità. Una realtà dove riconosciamo il nostro destino, a conferma della sublime intuizione di George Groddeck, secondo il quale l'arte, in fondo, è soltanto la "corona della vita".