Il mondo in una stanza
L'esperienza artistica di Mariateresa Carbonato, alle prese con una nuova personale dal titolo Sguardo quotidiano. Finestre, scale, sedie e ritratti. Il fascino delle sue opere nasce dall'affezione alla vita di tutti i giorni.
Mariateresa mi viene incontro nel giardino ben curato della sua casa di Bareggio, alle porte di Milano, in una frizzante mattina di primavera. Nel seguirla verso il suo studio, mi accorgo di come ogni cosa intorno sia al suo posto: i glicini, la siepe, la bicicletta, le vetrate della casa. Sembra tutto appena uscito da un quadro. Non ci metto molto a scoprire, varcando la soglia del laboratorio gremito di tavole dipinte, che tutti quegli oggetti rivivono nei suoi quadri. Ranuncoli rossi, finestre socchiuse, davanzali imbiancati, sedie in attesa, palazzi in costruzione, porte aperte, Porte Sante, scale in discesa, scale in salita. Tutto il mondo è contenuto fra i quattro angoli di quella stanza. Se ci si mette lì davanti, ci si sente accompagnati a qualcosa di bene. Non si può più pensare che la vita sia brutta. E come glielo dici, Mariateresa sorride: ''Sono contenta, perchè per me è così. Io non voglio fare dell'estetica, delle cose gradevoli o piacevoli, ma voglio che nei quadri ci sia la mia vita. E l'ultima parola della storia, non è il male, ma è misericordia. Misericordia che il Signore usa verso di noi, e noi usiamo con gli altri, con le cose e con noi stessi''. E che nella pittura, quest'artista, riversi tutta la sua esperienza lo si capisce dai numerosi ritratti fatti ai quattro figli, che a tutt'oggi (la più grande è nata ventott'anni fa e la più piccola sedici) riesce ancora a trattenere per ore in posa. Fare la mamma (e la moglie) le ha insegnato, per analogia, a vivere una maternità verso le sue tele.
''I miei soggetti nascono sempre da un incontro, le cose ti chiamano, ti interpellano. E tu cominci a dar loro credito, ad aspettare con pazienza che fioriscano, che si compiano. Ed ecco che emerge cosa c'è dentro a un'idea, a un colore, a una forma''. A questo punto, nel suo discorrere pacato e sereno, tele e figli si sovrappongono. Mariateresa guarda i figli come delle opere d'arte e i suoi quadri come delle sue creature. Tutta la sua esperienza esistenziale è legata, è tenuta insieme da questa doppia mandata. Arte e (è) vita. ''Mi dispiace - prosegue - quando noto che il tentativo di crescere i figli è ridotto a un potare, a un decidere a priori la strada da intraprendere. Non c'è piu' spazio per la libertà. Nella vita, come nell'arte, questa posizione non paga, non dà frutti. Tutto ci è dato, e il nostro compito è la fedeltà a questo dono''.
Due volte madre
''Tu sei madre due volte: dei tuoi figli e dei tuoi quadri'' le aveva detto lucidamente Bill Congdon, conosciuto nel '68, quando Mariateresa, dopo gli anni dell'Accademia di Brera, aveva cominciato a dividersi, non senza fatica, tra pittura e faccende domestiche. E in effetti, anche quando le esigenze della famiglia l'hanno tenuta lontano dalla pittura, Mariateresa non ha mai trascurato la sua seconda vocazione. ''Gli amici che venivano a casa a trovarmi - racconta con l'aria di chi ha conquistato un tesoro ambito - scherzavano e dicevano: Adesso alziamo un pannolino e troviamo un quadro! In realtà per ben dieci anni non ho fatto più mostre e la produzione di quadri è ovviamente diminuita. Ma non mi sono mai tirata indietro quando si trattava di dare una mano per i vari lavori artistici all'asilo, a scuola e in parrocchia''.
Oggi che il tempo glielo permette, la sua produzione artistica ha subìto un'impennata, la mano e la mente sono ritornate ai temi più cari. I luoghi del quotidiano sono guardati con sempre maggiore attenzione e consapevolezza, per questo vengono restituiti allo spettatore in una dimensione più tersa. Come nel gruppo delle sedie, vuote, non per gettarci in un'assenza angosciosa, ma per indicare l'attesa di una presenza che viene ad abitare lo spazio e a conferire significato alle cose. E così anche nel ciclo Costruire-ricostruire, dove edifici cittadini sono sostenuti da impalcature e annunciano la metafora della vita come cantiere, come edificazione di un luogo umano condivisibile. E ancora le tante scale che corrono vertiginosamente verso una meta ti fanno percepire tutta la fatica dell'uomo in cammino che le percorre in salita o in discesa. La liturgia dell'Anno giubilare ha fatto nascere una serie di Porte Sante, attraversate, in modo quasi impercettibile, da croci stilizzate o da processioni dei Papi della storia: ''Nel vivere la quotidianità della liturgia prendono forma nuove idee'', spiega Mariateresa indicando la natività che ha realizzato per lo scorso Natale.
Lasciare una traccia
E' di questi anni anche una certa predilezione per i pastelli a olio e la preparazione delle tavole con gesso acrilico a volte impastato con sabbia, che rende ancora più materici e corposi i suoi soggetti: ''Questa libertà nella tecnica e negli strumenti - racconta - l'ho imparata da Congdon. Anche la volontà di lasciare una traccia di sé nel gesto pittorico, un segno nello spessore grasso del pigmento''.
Lascio Mariateresa alle sue opere. Sta terminando le ultime cose in previsione della sua nuova mostra Sguardo quotidiano, che aprirà i battenti il 2 maggio presso la Galleria Lazzaro By Corsi, nella centralissima via Broletto, a Milano. Ma tra le righe dell'entusiasmo per l'ennesima mostra personale leggo una certa malinconia, credo dovuta al fatto di doversi staccare dai suoi quadri. ''Anche in questo caso è un po come con i figli - mi dice -. Arriva un tempo in cui bisogna lasciarli andare. Sono felice almeno quando so dove vanno a finire!''. Ma Mariateresa si consola in fretta ridicendo a sé e a me una frase del poeta polacco Cyprian Norwid, che condensa tutto il senso del suo operare: ''La bellezza è per entusiasmare il lavoro, il lavoro è per risorgere''.